giovedì 3 febbraio 2011

«L’OGGETTIVITÀ? PER FORTUNA NON ESISTE»

Eugenio Scalfari, maestro di generazioni di giornalisti, racconta le difficoltà della professione oggi. Il futuro è ancora nella formula inventata da lui: approfondimento e onestà dei punti di vista


di Raffaele de Chiara



La crisi delle vendite dei giornali come prodotto dell’avvento dei nuovi media e l’oggettività dell’informazione letta alla luce di una diversa concezione. Eugenio Scalfari, classe 1924, tra gli ultimi grandi giornalisti del secolo scorso ancora in attività, non usa mezzi termini nell’analizzare lo stato dell’arte del giornalismo in Italia. «L’abbassamento delle vendite dei quotidiani, e soprattutto dei periodici, non avviene solo nel nostro Paese, ma in tutto l’Occidente. Non credo che ciò dipenda dall’incapacità dei giornalisti, sarebbe infatti assai strano che in metà del pianeta tutti insieme fossero diventati incapaci». Il naturale cipiglio dei modi, accompagnato da un eloquio asciutto e forbito sono quelli di sempre, la disponibilità al dialogo anche. «La vera causa del calo è la concorrenza della televisione e di internet, è la società attuale che sta cambiando. Al giorno d’oggi, è sempre più evidente la rinuncia alla parola scritta, in favore di una comunicazione fondata principalmente sui suoni e sulle immagini».
Per alcuni, la causa dell’allontanamento dei lettori dalla carta stampata è dovuta anche all’abbandono, da parte di quest’ultima, di un modo di fare giornalismo “oggettivo”. «L’obiettività dei fatti è una finzione – afferma perentorio Scalfari –. Gli avvenimenti sono letti dai giornalisti secondo il loro punto di vista, ossia sulla base dell’interpretazione che loro ne danno». Non crede però che, così facendo, possa venire in qualche modo meno il rispetto e la tutela di chi legge? «Niente affatto, perché l’obiettività è cosa diversa rispetto ad un irraggiungibile distacco da ciò che si racconta. Essa consiste semplicemente nel rendere esplicito il punto di vista da cui ciascuno dei professionisti dell’informazione guarda gli avvenimenti. È solo questo quindi – sottolinea con forza – che va reso esplicito affinché i lettori possano decodificare le varie realtà dei giornali e dei giornalisti».
Una lettura dell’obiettività la sua, suffragata ancora di più dal notevole successo de “la Repubblica”, il quotidiano che fondò nel 1976 e che, per primo in Italia, ha cambiato il modo di fare informazione.
Non più soltanto cronaca, ma analisi e approfondimento secondo le diverse sensibilità di chi scrive. «Il futuro è ancora in quella formula. Non è certamente un caso se essa è stata adottata da tutti i giornali nazionali, sia nel nostro Paese che nel resto d’Europa». Da qualche anno a questa parte è sempre più diffuso il “Citizen Journalism”, ovvero un tipo di giornalismo detto anche partecipativo, che contempla un ruolo dei lettori sempre più attivo nella ricerca e nella divulgazione delle notizie. I suoi detrattori lo catalogano come fenomeno di costume, i suoi fautori come una risorsa indispensabile. «Il fenomeno cui lei fa riferimento si fonda interamente sulla comunicazione via Internet, con le varie forme dei social network, “Facebook”, “You Tube” e altre simili: non credo che sia semplicemente un fenomeno di costume, ma una realtà con cui tutti i giornali devono e dovranno confrontarsi»...continua

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